Da più di 20 anni vediamo ruotare il dibattito autunnale attorno alle vicissitudini di Berlusconi, ai suoi flirt da aitante anziano, ai processi che lo riguardano (io ne aprirei uno solo per aver dato il colpo di grazia al nostro Paese). Quasi come fosse un rituale, un anniversario da celebrare insomma. Il governo dalle larghe, intese emblema di come non esista alcuna differenza tra centro- sinistra e centro- destra, si diverte giocando a litigare su Mister B, tentando goffamente di nascondere gli eguali interessi perseguiti e l’obiettivo di continuare ad applicare le spietate manovre economiche imposte dal fiscal compact da qui ai prossimi mesi, aumentando sempre più le distanze che già esistono dai palazzi del potere alle strade, le piazze, e da tutto quello che riguarda il nostro vissuto quotidiano. Battibecchi insensati trasmessi in tv, promesse fasulle che appaiono sulle prime pagine dei giornali per rassicurare l’uscita prossima dalla crisi dove stiamo annegando; mentre le città restano coperte dai rifiuti, le periferie diventano discariche e sono in un totale stato di abbandono, nodi industriali divenuti ormai fantasma. Un divario, quello tra chi è morso dalle difficoltà economiche e fra coloro che vivono nel massimo agio possibile, che aumenta al crescere del debito e delle politiche di austerity; della disoccupazione di migliaia di lavoratori e lavoratrici, delle condizioni umilianti di precarie e precari, le tasche sempre più leggere di cittadine e cittadini. Un divario che lascia carta bianca ai palazzinari, alla speculazione edilizia che devasta i territori costruendo opere spesso lasciate a metà, inutili o nocive come degli inceneritori, colpevoli dei tassi di tumore in percentuali altissime in zone magari neanche industrializzate.
Storie di tutti i giorni, a cui forse ci siamo abituati camminando per strada o fermandoci a parlare con conoscent@, ma poste in secondo piano dinanzi agli intrallazzi di quattro politicanti ai quali si è smesso di dare retta. Episodi di tutti i giorni sparsi come focolai anche oltre i confini europei, dove sono nati movimenti di lotta frutto di un agire e un volere comune, capaci di sconvolgere gli assi costituiti e un equilibrio troppo in bilico per la maggioranza: il popolo.
In Italia chi non ha voluto restare inerme davanti al ricatto del debito, chi ha deciso di alzare la testa di fronte al sistema repressivo e opprimente messo in scena dal governo italiano con il patrocinio dell’Ue ha investito nella settimana di mobilitazione appena trascorsa.
Sette giorni intensi per rispondere che “Non è il nostro debito, quindi lo pagasse chi lo ha inventato”. Sette giorni che personalmente, non sono cominciati con la manifestazione “Costituzione: la nostra via maestra” chiamata da Landini e Rodotà, ma con le lotte territoriali e ambientali che hanno visto una serie di azioni e mobilitazioni dislocate su tutto il territorio lanciate dal campeggio dell’Amiata di questa estate, a difesa dell’ambiente e dei beni comuni. “Bene comune”, termine ripetuto anche dai due “difensori” del testo costituzionale, oramai svuotato dal suo significato originario. Il corteo dei “buoni, a difesa della legalità” che probabilmente ha oscurato i movimenti territoriali di quella giornata impegnati ad evidenziare il problema dei rifiuti, e montata su un concetto di “rispetto delle regole” diverso da quello in cui credo insieme ai miei compagni e alle mie compagne. Un senso di legalità che è distante dalla giustizia sociale richiesta dalla popolazione; come lontano anni luce è dai cambiamenti avvenuti, nel bene e nel male, in 65 anni di storia. Una scatola vuota posta in netta discordanza dal desiderio di rinnovare spazi che siano veramente democratici e luogo di crescita ed emancipazione collettiva che sicuramente nulla ha a che vedere con quella difesa di una carta costituzionale datata 1 gennaio 1948, dove sono stati fissati cardini economici secondo una chiave fordista, dove la famiglia è intesa ancora in senso “naturale” che tanto piaceva alla Dc e alla Chiesa. Una Costituzione dove non è più garantito il diritto allo studio a tutti e a tutte perchè sono state decimante le borse di studio, gli alloggi per lasciare il posto a scuole di eccellenza, logica del merito, tasse e costi dei libri sempre più alte. Una carta costituzionale che ha visto smatellare l’art. 18, garante del lavoro e oramai con un incipit cambiato “L’Italia è una Repubblica fondata sulla disoccupazione, la precarietà, la cassa-integrazione (fin quando c’è)”. Un testo costituzionale disinteressato al diritto alla salute. Una volta l’art. 32 recitava ” La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.” Salute bene comune. Una volta, magari.. quando non si seppellivano tonnellate di scorie o di materiale tossico nei terreni agricoli che hanno inquinato le falde acquifere avvelenando e spargendo il cancro qua e la tra tutti noi. Tagli alla sanità pubblica effettuati all’ombra dell’austerity che però reperisce il denaro per finanziare cliniche private ma chiude ospedali e consultori; obiettori di coscienza inseriti nelle strutture pubbliche ancora in piedi che impediscono di praticare l’aborto o il reperimento della pillola del giorno dopo per evitare di restare incinta (e di questi tempi mi spiegassero lo Stato o i bigotti/ bigotte di turno come cresco la pupa o il pupo), mettendo in discussione la libertà di essere donna e le scelte da noi prese.
Una Costituzione che ha rimosso il senso di stato sociale, di diritto per lasciare il posto alla ad una norma che prevede il pareggio di bilancio, giusto per proteggere gli interessi dei mercati internazionali e creare profitti sulle nostre vite. Quindi una manifestazione a difesa di un pezzo di carta divenuto simulacro e noncurante dei soggetti a cui si rivolge, dei diritti spettanti anche ai migranti, delle questioni di genere lasciate in mano ad uno strumento che miscela autorismo e liberismo in un unico frullato.
Settimana di mobilitazione intensa, dicevamo.. settimana che è ha raggiunto la sua seconda tappa martedì 15 ottobre, giornata mondiale contro il debito. Università, supermercati, luoghi della cultura, cassa depositi e prestiti (istituto che presta finanzia i comuni secondo tassi di mercato lasciando che si indebito con le banche al solo scopo di privatizzare beni e servizi pubblici con i soldi che ottengono dai 24.000.000 di cittadin@ che depositano i propri risparmi alle poste) sono stati sanzionati per dire che questo debito non è il nostro, che al ricatto dei soldi che non ci sono e all’aumento delle tasse e dei costi di iva e beni primari non cediamo più.
La risposta al dramma sociale attraversato dalla nostra storia attuale dovrebbe passare per la politicizzazione delle varie soggettività oppresse, vivendo esperienze portate avanti secondo forme di democrazia radicale che possano opporsi alla crisi della rappresentanza e all’assenza delle istituzioni, costruendo meccanismi di partecipazione reali e aperti per contrastare la crisi seguendo l’unica via maestra conosciuta: l’autorganizzazione e la mobilitazione collettiva.
Un processo sicuramente lungo che dopo la manifestazione di venerdì 18 ottobre che ha visto scendere in piazza i sindacati di base, ma soprattutto dopo sabato 19 ottobre, il temibile giorno della guerriglia urbana urlata dai giornali al servizio del potere da almeno un mese, probabilmente sarà possibile. Un corteo che ha visto scendere in piazza 70.000 persone, contrariamente ai pronostici della questura che ne voleva soltanto 20.000 e alle previsioni catastrofiche messe in atto dal terrorismo psicologico mediatico che avrebbe voluto la gente a casa. Così non è stato. Nessuna vetrina distrutta, nessun black bloc: solo una scaramuccia davanti al ministero dell’economia che, per pararsi dalla pessima figura fatta, i giornali stanno gonfiando a dismisura definendola addirittura guerriglia urbana (vedi “Il Messaggero”); tacendo su un gruppo di fascisti che hanno aggredito la troupe di Servizio Pubblico, armati di caschi e spranghe e che nessuna guardia ha arrestato o mandato indietro, ma ha invece protetto. Un unico grande coro per rivendicare che la nostra Europa non ha confini e non esistono clandestin@, che vogliamo avere un reddito e ci opponiamo all’aumento dei costi della vita, ribadendo che tutti e tutte devono avere una casa e un lavoro per vivere in maniera dignitosa.
Un corteo che dichiara la grande vittoria dei movimenti, capaci di portare avanti le proprie istanze senza dover delegare al politico chiacchierone di turno. Una grande manifestazione che ha mostrato il vero volto dei centri sociali, dei No Tav spesso accusati di essere terroristi e devastatori. Un movimento che si spera si allarghi e continui. Un maxi corteo che ha visto il malessere sociale scendere in piazza per rivendicare che ci riprenderemo ogni cosa che ci hanno tolto in anni di tagli e di austerità. La piazza che si stringe, che non teme la repressione, che si sente unita contro chi ci vuole sconfitt@ e succubi di governi piegati dalle logiche capitalistiche.
Il 19 non è stato il culmine di una settimana intensa, ma l’inizio di un qualcosa che sveglierà le coscienze dormienti di questo Paese.